Da Archivio 68
Articolo dalla rivista mensile “Pace e Guerra” n° 1 nuova serie 10 Novembre 1981
Intervista a Johan Galtung

Riconosciuto come il fondatore dei moderni studi sulla pace. Nato a Oslo nel 1930. Fondatore a livello mondiale dei moderni studi per la pace e per la fondazione scientifica degli stessi, aggiunge alla competenza scientifica una grande esperienza come consulente e mediatore nell’ambito dei conflitti internazionali (Israele-Palestina, ex Jugoslavia, Cecenia, area dei Grandi Laghi in Africa, Colombia, Birmania, ecc.).
…….I nostri governi, all’Est e all’Ovest, stanno accelerando la corsa agli armamenti per due motivi: perché dispongono di
enormi capacità scientifiche, burocratiche e industriali che rendono le armi sempre più distruttive, precise e difficili da
neutralizzare; e perché sono terrorizzati dal fatto che la parte avversa sia in grado di fare lo stesso.
All’Est, gli SS20 rappresentano una modernizzazione dei primi SS4 e SS5, ma anche una reazione, per esempio, al sistema occidentale deimissili Polaris. All’Ovest i missili Cruise e Pershing II sono una mo dernizzazione degli attuali sistemi, ma anche una reazione agli SS20.
I Paesi occidentali, dopo la storica e disastrosa decisione Nato del 12 dicembre 1979, stanno portando in avanti il livello degli armamenti
con l’installazione di 572 missili Cruise e Pershing II: l’idea è che questo costringerà i sovietici a riconsiderare il dispiegamento degli
SS20, e che successivamente le due parti si accorderanno per ridurre i livelli di distruzione della vita e della civiltà propri delle armi nucleari. Naturalmente questa idea non funzionerà.
I sovietici, invece, faranno esattamente l’opposto: a loro volta «modernizzeranno» di nuovo le proprie armi proprio per i motivi che abbiamo indicato, come è nella logica di una corsa agli armamenti accompagnata da tensione e paura crescenti; non ci sono infatti esempi di una delle due parti che sia stata costretta a fermarsi e a cercare un accordo interrompendo la corsa. Non si vede del resto per quali ragioni dovrebbe farlo. I nostri governi stanno dunque perseguendo una politica che non esiste: non fanno che della metafisica, sono loro i veri «idealisti», nel senso che sono profondamente irrealistici. Ma questo non vuol dire che il disarmo unilaterale sia invece realistico: essendo un approccio isolato, può indurre ad un attacco dell’altra parte, e può portare persino ad un maggiore armamento se la situazione particolare si modifica.
Quel che sembra essere realistico è un processo di mutuo unìlateralismo, nel quale una parte si fermi e faccia un passo indietro lungo la spirale, dando all’altra parte una chance di seguirla.
Gli esempio storici dimostrano che questa è la sola possibilità realistica. Ma la condizione è che le iniziative vengano prese e che le risposte positive dall’altra parte vengano considerate sul serio e non semplicemente bollate come propagandistiche.Inoltre, di per sé il disarmo non è mai sufficiente: deve essere accompagnato dal tipo di equilibrio prima indicato e anche da uno sforzo per risolvere i conflitti che fanno da sfondo all’intera situazione e per sviluppare delle alternative alle armi nucleari su cui entrambe le parti fanno affidamento.
Quelle che seguono sono dieci proposte che vanno nella direzione indicata.
La migliore difesa che un Paese può avere è quella di essere per quanto possibile invulnerabile sul piano economico, e di avere un armamento puramente difensivo.
Questa è la base del sistema di difesa svizzero: essere autosufficienti in tempo di guerra nei settori decisivi, come l’alimentazione e 1 energia, in modo che non ci sia alcuna tentazione di condurre una politica aggressiva e di intervento in Paesi limitrofi. Al tempo stesso la Svizzera dispone di un sistema di difesa che non è basato sul tentativo di esportare la guerra e di combatterla nel territorio altrui, cosa che fanno sia l’Unione Sovietica con il suo sistema di Stati-cuscinetto, sia gli Usa con la «modernizzazione» dei missili sul teatro europeo, un teatro nel quale le superpotenze agirebbero da spettatori che si limitano a premere i bottoni.
Una difesa non aggressiva è del tutto realizzabile: probabilmente consiste in una combinazione tra un settore militare convenzionale, un settore paramilitare e uno non militare.
Sia la Svizzera che la Jugoslavia sono andate molto avanti in questa direzione, e sono entrambi tra i Paesi europei più sicuri, perché i loro sistemi difensivi non minacciano nessuno e al tempo stesso qualunque potenziale aggressore sa che la popolazione continuerebbe a combattere a lungo, anche dopo una eventuale capitolazione militare. È vero, sono incapaci di effettuare rappresaglie nucleari, ma proprio questa ragione fa sì che nessun altro Paese sia preoccupato al punto da essere tentato di colpire per primo per eliminare una minaccia di tipo nucleare.
I blocchi militari possono essere difficilmente aboliti in un colpo solo, ma molti dei Paesi membri dei blocchi possono rendersi più indipendenti e diventare «Paesi di protesta» piuttosto che Paesi clienti.
Sia la Francia che la Romania sono buoni esempi di Paesi che non seguono automaticamente la linea delle superpotenze. Entrambi hanno svolto un ruolo storico negli Anni sessanta nello sviluppo della distensione e possono svolgerlo di nuovo. Ma abbiamo bisogno di un numero maggiore di Paesi di questo tipo. Anche se non lo dichiarano apertamente, è piuttosto evidente che la Polonia e l’Olanda sono di fatto «Paesi di protesta» e non Paesi clienti. Occorre trovare nuovi modelli di appartenenza ai patti militari, soprattutto in relazione alle superpotenze. I quattro Paesi citati rappresentano agli effetti pratici delle zone denuclearizzate, nonostante la Francia abbia la SM force de frappe’, quel che conta è infatti la disponibilità di un Paese a svolgere ruolo che gli è assegnato dalla superpotenza e ad ospitare le bombe della superpotenza.
I paesi neutrali dell’Europa devono giocare un ruolo molto più attivo nel movimento dei non allieneati, anche sulle questioni dello sviluppo.
Il movimento dei non allineati è composto per lo più da Paesi che cercano di uscire da una situazione di sottosviluppo. Ad essi vengono offerti due modelli di sviluppo: capitalista e socialista, o, più precisamente, capitalista privato e capitalista di Stato. Le superpotenze vigilano con interesse sul modello che adottano i vari paesi. Ciò di cui c’è un disperato bisogno nel mondo attuale sono Paesi in grado di offrire un terzo, o quarto, o quinto modello di sviluppo che consenta di essere non allineati non solo sul piano militare ma anche su quello generale delle politiche di sviluppo.
Sojo mostrando alle superpotenze che esistono delle alternative alle loro politiche questi Paesi potranno iniziare a sottrarsi all’ingerenza nei propri affari interni. Se ad esempio il blocco occidentale aiutasse la Polonia a portare avanti una nuova strategia di sviluppo, più democratica, eventualmente più socialista, questo sarebbe visto come uno sforzo di sovversione del blocco avversario. Quindi i paesi neutrali hanno un ruolo importante da svolgere, ed alcuni di essi sono impegnati in prima persona nella ricerca di alternative di sviluppo.
Organizzare conferenze per costruire la pace e per scongiurare la guerra, senza le superpotenze o con una partecipazione delle super- potenze soltanto in qualità di osservatori.
Affidare il processo di pace alle superpotenze non è solo del tutto irrealistico, è catastrofico, sarebbe come affidare il controllo della droga ai principali spacciatori. Al contrario i Paesi neutrali d’Europa, e i «Paesi di protesta», dovrebbero prendere l’iniziativa per organizzare conferenze di tipo nuovo, non dominate dagli obbiettivi e dai punti di vista delle superpotenze, quali ad esempio i numerosi e superficiali conteggi dei missili cui abbiamo assistito. Con le superpotenze presenti anche solo in qualità di co-presidenti di tali conferenze, nessuna nuova idea riuscirebbe ad emergere. Le superpotenze devono essere sempre meno al centro del processo.
Un esempio di misure per costruire la pace: nuove forme di cooperazione.
Un certo numero di misure di cooperazione si è affermato nel periodo precedente della distensione, alla fine degli Anni sessanta. Ma esse erano viziate in modo sostanziale, c’era una scarsa, o inesistente comprensione dei pericoli di una cooperazione sbilanciata. Paesi come la Polonia, importando beni sempre più cari ed esportando beni di valore minore sono divenuti dipendenti e si sono indebitati sempre più. E questo, a sua volta, può accrescere la possibilità di un inter-vento da, parte delle superpotenze. Occorre trovare delle forme di cooperazione più equilibrate, di cui è difficile indicare le caratteristiche. u
Un esempio di misure per evitare la guerra: un satellite di sorveglianza dell’Onu.
Ognuna delle due superpotenze, attraverso i propri servizi segreti e i satelliti spia, conosce più o meno dove l’avversario ha collocato le armi di sterminio. Noi, le vittime potenziali, abbiamo il diritto di essere messi a parte di queste informazioni, di pubblicizzarle, di smascherarle. L’eccellente proposta francese di un satellite Onu, fatta all’ultima sessione delle Nazioni Unite sul disarmo, andava proprio in questa direzione, e andrebbe appoggiata.
Un esempio di misure per evitare la guerra: truppe dell’Onu tra l’Est e l’Ovest.
Sappiamo tutti che le forze di pace dell’Onu non costituiscono una vera garanzia. Ma stazionando nelle zone cuscinetto tra la Nato e il Patto di Varsavia in Europa, esse sarebbero una testimonianza importante di una società mondiale che è presente, osserva e se non altro cerca di aiutare mettendosi in mezzo tra i due contendenti.
I consigli municipali e le amministrazioni locali rappresentano una nuova forza nel movimento per la pace e potrebbero rafforzare la rivendicazione di zone denuclearizzate e anche di forme alternative di difesa.
II fenomeno è già presente in Gran Bretagna, ma un lavoro molto più vasto può essere fatto in questo senso, del momento che è sempre più chiaro che la tradizionale delega assoluta al governo nazionale, che a sua volta delega alla propria alleanza militare e/o al governo di una superpotenza porta le politiche militari molto lontano dalla gente che dovrebbe essere difesa.
Infine, l’iniziativa della gente è indispensabile come fattore di pace.
II movimento per la pace in Europa, — anche se finora soprattutto concentrato nella parte nord-occidentale — e ormai un fattore politico che nessuno può ignorare. Questo vuol dire che la gente ha un potere. In una democrazia la popolazione dovrebbe avere diritto a qualcosa in più delle manifestazioni, delle marce e di altri ottimi strumenti per far crescere la consapevolezza delle masse. Dovrebbe avere il diritto di chiedere un voto popolare sulle politiche militari che trasformano l’Europa in bersaglio obbligato dei missili contrapposti, con I’obbiettivo disperato di eliminare i missili prima che essi vengano utilizzati. Dovrebbe avere il diritto di esercitare questo voto anche sul piano locale, in modo che le comunità in cui la maggioranza della popolazione fosse in favore di scelte tanto disastrose ne sopportino i rischi in prima persona. E dovrebbe infine avere un diritto di veto, con tutti i possibili mezzi non violenti, sull’introduzione di qualsiasi ordigno o base nucleare nel proprio territorio.
In questa scelta ci sono certamente dei rischi. Ma i rischi di un’ulteriore accelerazione della corsa al riarmo sono infinitamente maggiori: sarebbero la fine per tutti noi