Rossovivo – Sindrone Americana

 

Da Archivio 68“Rossovivo” nuova serie n° 3 Bimestrale (Gennaio – Marzo 1980)

Era Nucleare Militare

Anno 1933 dell’era cristiana – Hitler conquista il potere in Germania. Einstein, professore di fisica a Berlino, fugge negli Stati Uniti, dove potrà insegnare all’Institute of Advance Study di Princeton. Il fisico francese Paul Langevin commenta: “Un avvenimento grande come lo sarebbe il trasferimento del Vaticano da Roma nel Nuovo Mondo. Il Papa della fisica trasloca, gli Stati Uniti diventeranno il centro dell’universo”. Einstein aveva indicato come relativi i “dati” spazio e tempo, aveva scoperto che la materia è energia congelata, era uno di quei fisici che aveva permesso di intuire che l’energia dell’universo è contenuta nell’infinitamente piccolo. Su questa scia Frédéric Joliot-Curie, ricevendo nel ’35, insieme con la moglie Irène, il Premio Nobel per la fisica, affermerà: “È lecito pensare che gli scienziati, i quali a loro piacimento possono creare e distruggere elementi, riescano a realizzare anche trasformazioni nucleari di carattere esplosivo”. Solo gli scienziati nazisti ritenevano la nuo¬va scienza fisica un “colossale bluff ebraico”.
Sei anni dopo – Il 1° settembre Hitler apre la via alla soluzione della crisi capitalistica aggredendo la Polonia. I fisici tedeschi, e molti altri dell’Europa centrale, sono quasi tutti emigrati negli Stati Uniti. Fra gli emigrati c’è anche il fisico ungherese Leo Szilard. Sa che i suoi colleghi, rimasti in Germania, potrebbero provocare una reazione a catena dell’uranio, e costruire un’arma capace di distruggere la vita sulla Terra. È convinto che il Diavolo sia Hitler, che, qualora venga in possesso della nuova arma, non esiterebbe a impiegarla, mentre Roosvelt, pensa Szilard, se ne guarderebbe bene, a meno che non dovesse difendersi. Si doveva dunque convincere il presidente americano, che in quel momento era appunto Roosvelt, circa la possibilità di costruire l’arma decisiva. Il 2 agosto Szilard ottiene da Einstein una lettera di avallo per il presidente Roosvelt. Sarà un banchiere, Sachs, a organizzare rincontro (ottobre ’39) di Roosvelt con Szilard. Grazie all’autorità scientifica di Einstein, Roosvelt si convince che è possibile l’arma dell’apocalisse, e ne ordina la fabbricazione (Progetto Manhattan).
Quinto anno di guerra – Il Progetto Manhattan è ormai a buon punto, quando arriva dall’Europa la notizia dello sbarco alleato in Normandia. Appare ormai molto improbabile che Hitler si sia ricreduto sulla “fisica ebraica”, e abbia commissionato a Heinsenberg la fabbricazione della bomba. Niels Bohr, cui si deve per tanta parte la conoscenza che il presunto indivisibile (l’atomo) è divisibile, e che ciò che sembra fisso, se lo si esamina attentamente, risulta in costante movimento e trasformazione, è fra i primi a muoversi. Perché, si chiede Bohr, portare a termine il Progetto Manhattan, che apre fatalmente le porte alla terza (e ultima) guerra mondiale? Se comunque non vi si può rinunciare, ci si deve render conto che quella nuova conoscenza non resterà monopolio degli Stati Uniti, e la Terra comincerà ad ospitare arsenali atomici. Pensa di doverne parlare con Roosvelt, che riesce ad avvicinare (anche lui con la mediazione di Sachs) il 26 agosto 1944. A Roosvelt tenta di dimostrare che “la nuova energia poteva essere un importante fattore per superare i contrasti con la Russia bolscevica e le altre parti in causa, così diversamente organizzate sia politicamente che economicamente”. Non è mai stato rivelato come Roosvelt recepì l’angosciato messaggio di Bohr: si sa invece che Churchill non dubitò un solo istante che Bohr fosse impazzito.
Anno uno dell’era atomica – Giugno 1945: la Germania è in ginoc¬chio, è certo ormai che non ha fat¬to nulla per fabbricare l’atomica. Sette scienziati, fra cui il citato Szi¬lard, stendono il rapporto detto Frank dal nome del suo primo firmatario. Un testo letto a quasi 35 anni da allora impressionante. Nel loro rapporto, inviato 1’11 giugno al ministro della guerra Stimson, i sette firmatari rilevano l’impossibilità di una qualsiasi pro¬tezione all’atomica, che in breve tempo, dato lo stato delle cono¬scenze fisiche, avrebbe avuto certa¬mente anche l’Unione Sovietica. L’unica soluzione era politica. “Si doveva immediatamente provvede¬re a instaurare un controllo sugli armamenti, fondato sulla reciproca fiducia. Ma proprio questa fiducia, così necessaria, sarebbe stata scos¬sa in partenza, se gli Stati Uniti im-piegavano di sorpresa contro il Giappone una bomba che, come i razzi tedeschi, avrebbe indistinta¬mente fatto strage di soldati e civi¬li. I sette scienziati ammonivano: i vantaggi militari e il risparmio di vite americane, che sarebbero con-seguiti con un improvviso impiego di bombe atomiche nella guerra contro il Giappone, potrebbero venire annullati dalla conseguente perdita di fiducia, e da un’ondata di orrore e opposizione che si dif¬fonderebbero per il resto del mon¬do, e che forse scinderebbero perfi¬no l’opinione pubblica in patria. Se non si dovesse giungere a un efficace accordo internazionale, già all’indomani della nostra prima dimostrazione del fatto che posse¬diamo armi nucleari, si scatenerà la corsa al riarmo generale. Le altre nazioni impiegheranno allora forse tre o quattro anni per raggiungerci; e otto o dieci per poter eventual¬mente tenersi al passo con noi, an¬che se continueremo a lavorare affannosamente in questo campo…”
I quattro cavalieri dell’apocalisse – Stimson, nonostante che fosse uo¬mo di potere, dev’essere rimasto colpito dal rapporto, tanto che stimò opportuno consultare i quattro leoni del Progetto Manhattan: Oppenheimer, Fermi, Compton, Lawrence. Il giudizio dei quattro: si trattava di rapporto “quanto mai futile”. Parole dello stesso Oppenheimer, che successivamente giustificò in questi termini la rispo¬sta favorevole al lancio della bom¬ba sul Giappone (ch’era ben noto che non aveva più alcuna possibi¬lità di resistenza): “Noi non sape¬vamo assolutamente nulla della si-tuazione militare dei giapponesi. (…) Nel nostro subcosciente (sic) eravamo dell’avviso che. l’occupa¬zione del Giappone era inevitabile, poiché ci avevano presentato le co¬se in questo modo… Noi dicemmo di non credere che la nostra qualità di scienziati ci rendesse particolar¬mente idonei a rispondere alla que¬stione se le bombe dovessero essere usate o no. (…) Noi pensammo che le due considerazioni preponderanti fossero il risparmio di vite umane nella guerra, e l’effetto che il no¬stro operato avrebbe avuto sulla nostra situazione interna come pu¬re sulla stabilità (garanzia della Pax americana, ndr) del mondo del do¬poguerra”.
La natività atomica – A differenza della natività dell’era cristiana, ac¬compagnata dalla cometa, che ser¬vì ai magi come punto di riferimen¬to, quella atomica s’accompagna con la proiezione in cielo d’un nuo¬vo sole, che diventa poi la sagoma di un elefante rovesciato. Così ne parla infatti uno degli evangelisti della nuova era, il fisico Otto Fri¬sch, collaboratore del Progetto Manhattan. Il giorno della natività, a Los Alamos (deserto del Neva¬da), doveva essere il 15 luglio 1945. Quel giorno però influirà il maltem¬po. Si decide di aspettare una schiarita. Gli artificieri sono in un bunker a una decina di chilometri dal luogo designato per l’esplosio¬ne; gli altri attendono a una venti¬na di chilometri. Nell’attesa, la ra¬dio degli artificieri trasmette dei ballabili. Alle 5,30 del 16 si ritiene, nonostante che il maltempo non sia cessato, di poter tentare l’esperi¬mento. La radio incomincia il con¬to alla rovescia: meno 45, meno 44, meno 43. Pochi secondi, e la nuova divinità, costata fin’allora più di due miliardi di dollari, sarebbe ve¬nuta al mondo. “Non restavano che pochi secondi, narra Fritsch. Incominciava ad albeggiare. Scesi dall’auto. Scoccato l’ultimo secon¬do, cercai i miei occhiali da sole, ma non li trovai. Mi sedetti in ter¬ra, quasi temessi d’essere spazzato via. Mi tappai le orecchie con le mani, guardai in una direzione di¬versa da quella dell’eplosione. Ed ecco in cielo una luce che si sarebbe scambiata con quella del Sole. Le colline sabbiose, ai bordi dei deser¬to, scintillavano d’una vivida luce. Mi voltai, ma quell’oggetto all’o¬rizzonte, che sembrava un piccolo Sole, sprigionava ancora troppa lu¬ce, perchè gli occhi potessero guar¬darlo. Incominciai ad ammiccare. In una decina di secondi la fonte di luce s’era ingrandita e attenuata, somigliante a un gigantesco incen¬dio di petrolio, una forma lumino¬sa che faceva pensare a una frago¬la. Si sollevava lentamente da ter¬ra, cui rimaneva connessa con un lungo, grigio peduncolo di polvere turbinante. Assurdamente pensai a un rosso elefante di fuoco, che stesse in equilibrio sulla propria proboscide…” (7). Nato il nuovo dio, il generale Farrel, uno degli organizzatori del Progetto Manhat¬tan, ne informò il ministro della guerra Stimson con queste parole i- spirate: “L’energia dell’universo, imprigionata nell’atomo dagli inizi dei tempi, è stata costretta a libe¬rarsi”  Poche ore dopo Truman, che partecipava con gli altri “grandi” alla conferenza di Po- stdam, riceveva il telegramma che annunciava che “il bambino era nato”.
Il primo olocausto del bambino atomico – Sull’attività del neonato abbiamo questa testimonianza di Philip Noel-Baker, che fu fra i pro¬motori della Lega delle Nazioni e successivamente delle Nazioni Uni¬te: “Hiroshima, 6 agosto 1945, ore 8,15 del mattino. Strade piene di gente, gente che va al lavoro, a far compere; ragazzi diretti a scuola. Un incantevole mattino d’estate, luminoso, cielo sereno. Un aereo attraversa la città. A un tratto, in pieno centro, lascia cadere qualco¬sa. Difficile vedere, una bomba molto piccola, sembra non più grossa d’una palla da tennis. Scen¬de per 10-15 secondi. Ed ecco un lampo bruciante, più luminoso e caldo di mille Soli. Chi aveva leva¬lo lo sguarda al cielo, resta abbacinato. (…) La gente sparì, letteral¬mente dissolta nella fornace lumi¬nosa. Non restavano neanche più le ceneri: restavano le ombre sul la¬stricato. Migliaia di persone, alle quali muri o edifici avevano fatto da riparo alla fiammata luminosa, impazzivano di sete. Un’orda deli¬rante correva verso i sette corsi d’acqua del delta su cui sorge Hiro¬shima. Lottavano indemoniati per farsi largo verso l’acqua. Chi riuscì a berne, morì entro un mese, che si trattava d’acqua contaminata (….). In un raggio di diverse miglia gli e- di fi ci furono rasi al suolo. Camion, auto, i carretti del latte, esseri uma¬ni, carrozzelle per bambini, furono sollevati e scagliati come proiettili mortali. Si vedevano qua e là cada¬veri ammucchiati. Quando la palla infuocata toccò il suolo, le schegge della deflagrazione, sparate con fu¬ria ciclonica, produssero un uraga¬no di fuoco. Molte migliaia di per¬sone furono intrappolate fra barriere di fiamme, che si levavano verso il cielo, più alte del più alto grattacielo. Chi non fu carbonizza; to subito, morì dopo lunga agonia. Poi tutto si oscurò, come se fosse calata la notte. Una nube in forma di ombrello si levò nel cielo per 40.000 piedi, oscurando il Sole. Da lì piovve polvere contaminata, il fallout, su ogni cosa, per cui non rimase nulla, a Hiroshima, di non mortale. La morte per malattie da radiazioni fu la sorte di tanti so¬pravvissuti al lampo infuocato, alle acque contaminate, all’uragano di fuoco…”
¬ Anno 31 dell’era atomica – Nel libro di Gunther Anders, “Essere o non essere – Diario di Hiroshima e Na¬gasaki”, pubblicato dalla Einaudi nel ’61, si legge che fino al ’50 i morti di Hiroshima si calcolavano in 252.000. Ma la divinità, rivelatasi alle genti il 6 agosto 1945, non cessò di fare vittime. Non si parla qui delle altre vittime, provocate dalle successive esplosioni, o da incidenti nel fabbricar bombe, o dento o in¬torno alle centrali nucleari. Altri esseri umani, dopo il ’50, conti¬nuarono a morire per la bomba del 6 agosto 1945. “La voce repubbli¬cana” nel trentunesimo anno del-l’era atomica riferisce (7/8/76) che “quest’anno” sono state aggiunte all’elenco altre 2.159 vittime. “Lo ospedale atomico di Hiroshima, scrive il giornale, dice che va cre¬scendo il numero delle persone che ricorrono alle sue cure per tumori maligni”. Trentun anni dopo Hiro¬shima, “vivono ancora nell’incubo i sopravvissuti alla bomba atomi¬ca”. Com’è noto, il pilota che portò a Hiroshima il messaggio della nuo¬va era, Claude Robert Eatherly, fu “riconosciuto pazzo” nel ’64. È morto l’anno scorso. Il “Corriere della Sera” ne ha dato notizia (8 lu¬glio 1978) con questo titolo: “Ha trovato pace il fantasma di Hiroshima”.